
Cuore o tecnica?
Sempre più frequentemente e un po’ in tutti gli stili musicali si sente parlare di “voce” come strumento atto a veicolare emozioni e messaggi. Essendo i sensi i primi destinatari di qualunque espressione artistica, la componente emotiva gioca un ruolo fondamentale ed aiuta a rendere davvero efficace ciò che stiamo facendo.
Ma quanto lo studio può influire negativamente su tale processo? Quanto è importante la tecnica e quanto è importante, invece, interpretare e “cantare con il cuore”?
Ebbene sì, in medio stat virtus.
Potrei limitarmi ad esprimere un parere a riguardo che però rispecchierebbe esclusivamente il mio percorso formativo e la mia esperienza personale. È bene, invece, partire dal presupposto che non tutti percorrono la stessa strada in fase di formazione e che non tutti i maestri applicano lo stesso metodo di insegnamento. È importante, dunque, sottolineare che una buona tecnica non ostacola le emozioni ma, al contrario, ci permette di liberarle molto più facilmente. Immaginate di essere al cospetto di un paesaggio privo di sfumature, in cui ogni elemento ha un colore uniforme, per un massimo di tre colori totali nell’intero scenario. Immaginate, invece, di osservare un paesaggio in cui il cielo presenta molteplici sfumature di azzurro, diverse da quelle del mare, magari con qualche accenno di rosso tramonto, un paesaggio in cui il verde della chioma degli alberi ha una tonalità differente rispetto a quella del cespuglio o a quella delle alghe sul bagnasciuga e così via… Una buona tecnica ci permette di avere più elementi a disposizione e di arrivare al cuore del nostro pubblico con un maggior numero di possibilità da sfruttare e di mezzi espressivi. La buona conoscenza e padronanza del nostro strumento vocale deve essere finalizzata a questo. È necessario che la tecnica sia sempre al servizio delle emozioni e ciò diventa possibile se pensiamo al fatto che le corde vocali, così come tutti gli altri articolatori coinvolti nell’atto della fonazione, sono dotate di una memoria e che quindi, una volta immagazzinati in maniera corretta i concetti e poi i meccanismi, arriveremo al punto di non dover più pensare alla tecnica durante le nostre performance, ma la applicheremo in modo del tutto automatico, diventerà la nostra comfort zone.
Come possiamo capire, quindi, qual è la strada giusta da percorre in fase di formazione per ottenere questo equilibrio?
Innanzitutto è necessario che tra il maestro e l’allievo si instauri un grande rapporto di fiducia e di rispetto. Un buon allievo non intraprende un percorso formativo “tanto per”, ma la sua scelta di cominciare a studiare seriamente deve derivare da quell’energia interiore che solo chi ama la musica e il canto può comprendere, da quella spinta interiore che è difficile, se non addirittura impossibile, descrivere a parole. Un buon maestro deve comprendere appieno l’animo artistico dell’allievo, tirare fuori il meglio di lui e non deve in alcun modo interferire nelle sue scelte stilistiche con il proprio gusto personale. Anche nel caso in cui si dovesse trovare di fronte a scelte di repertorio azzardate o non adatte alla voce dell’allievo, deve avere la capacità di chiarirgli prima di tutto il motivo per cui tali scelte vanno riviste e di proporre altri brani che mettano maggiormente in luce le sue qualità vocali, senza discostarsi da quello che è il suo mondo.
Difficilmente un cantante riesce ad essere credibile e a trasmettere emozioni in un brano e in un genere musicale che non gli appartiene o che non gli piace. È fondamentale, pertanto, che ogni pezzo del suo repertorio sia ciò che ama ascoltare. Solo così riuscirà a tenere accesa quella scintilla e a trasformare in magia ciò che altrimenti non sarebbe niente più che un processo meccanico.
Solo cantando ciò che ci coinvolge nel profondo riusciremo con naturalezza e facilità a trasmettere emozioni autentiche.

